Per prenotare una visita:

Screening per il cancro prostatico: utilità e prospettive di un esame periodico del PSA

La scoperta che la misurazione dei livelli circolanti di antigene prostatico specifico (PSA) poteva essere utilizzata per individuare un carcinoma prostatico in un soggetto asintomatico con una prostata all'apparenza normale, ha portato ad un cambiamento quanto mai rapido e consistente nel modo di diagnosticare e curare questa neoplasia molto diffusa. Attualmente, lo screening per il carcinoma prostatico basato sul PSA viene utilizzato dalla gran parte degli urologi così come da una gran parte di internisti e di medici generici.

Nonostante tale tendenza, è ancora molto dibattuta la questione su chi debba essere sottoposto a screening, in che modo tale screening debba essere effettuato e se tutta la popolazione debba essere sottoposta a screening, con l’obiettivo di identificare un carcinoma prostatico in uno stadio precoce e potenzialmente curabile.

Impatto dello screening per il carcinoma prostatico

In coincidenza con il diffondersi del screening basato sul PSA verso la fine degli anni 80, aumentarono enormemente le diagnosi di carcinoma prostatico. Una tale tendenza non deve sorprendere poiché è previsto che l'introduzione di un qualsiasi nuovo ed efficace programma di screening conduca ad una aumentata identificazione di malattia. Se il test rileva una malattia non significativa, allora i tassi di incidenza continueranno ad essere elevati più di quanto fossero prima dell'introduzione dei programmi di screening; tuttavia, se il test mette in evidenza casi clinicamente rilevanti, i tassi di incidenza dovrebbero alla fine ritornare a livelli simili a quelli dell'epoca pre-screening (" effetto raccolta "). Si è visto infatti che la diagnosi di carcinoma prostatico è andata declinando sin dal 1992 e sta attualmente raggiungendo tassi di incidenza che precedevano l'improvviso aumento nelle diagnosi . Tale riduzione nelle diagnosi è stata così evidente che la American Cancer Society ha corretto le sue previsioni di metà anno nel 1997 da 334.500 a 210.000 nuovi casi di carcinoma prostatico. Tale decremento è assai probabilmente il risultato dell'effetto raccolta, poiché i tassi di diagnosi sono scesi molto più rapidamente tra la popolazione anziana che è stata più pesantemente sottoposta a programmi di screening rispetto alla popolazione più giovane la quale meno probabilmente è stata sottoposta a tali programmi.

La prevalenza di carcinoma prostatico incidentale individuato nel corso dell'autopsia accresce la preoccupazione sul fatto che lo screening con PSA identifichi tumori che non sarebbero diventati sintomatici e conduca a terapie non necessarie. Non sembra però che le cose stiano in questo modo, poiché l'identificazione dei tumori di basso grado era aumentata di poco prima del 1992 ed a partire da tale data è andata declinando costantemente, mentre la proporzione di tumori moderatamente aggressivi al momento della diagnosi è costantemente aumentata dopo l'avvento dello screening basato sul PSA

Oggi, approssimativamente il 70 - 80% dei soggetti viene diagnosticato quando la malattia è ancora limitata alla prostata, rispetto al solo il 20 - 30% nell'epoca pre-PSA.

Considerato che un paziente non sottoposto a terapia e con una aspettativa di vita tra 10 e 15 anni presenta dal 60 al 80% di possibilità di morire per carcinoma prostatico e che la prostatectomia radicale è in grado di curare sino all’80% dei soggetti con carcinoma prostatico localizzato, si è fortemente portati a pensare che lo screening determinerà un aumento della sopravvivenza.

Sia in Europa che in Nordamerica sono stati avviati vasti studi allo scopo di determinare se lo screening con PSA possa ridurre la mortalità da carcinoma prostatico in modo poco costoso senza ridurre la qualità di vita dei partecipanti allo studio. Occorreranno almeno dieci anni prima che i risultati di queste sperimentazioni possano essere interpretati. Vi è una certa preoccupazione che tali studi possano essere falsati a causa della contaminazione dei risultati, nel gruppo di controllo, derivante dal vasto impiego del test con PSA (soggetti che vengono sottoposti al test da parte del loro medico personale) ed a causa del fatto che il trattamento del tumore non viene specificato nel protocollo.

La riduzione della mortalità per carcinoma prostatico nella popolazione generale può essere il solo modo di dimostrare l'impatto dello screening. Poiché non disponiamo attualmente di alcuna terapia efficace per la malattia avanzata, ogni riduzione del tasso di mortalità è verosimilmente attribuibile ai programmi di diagnosi precoce.

Nonostante il diffuso impiego del PSA, rimangono vive molte domande e controversie. Coloro che si oppongono allo screening sostengono che la diagnosi precoce di un carcinoma prostatico mediante PSA ha portato all'identificazione di un gran numero di tumori clinicamente non significativi, senza la dimostrazione che ciò porti a migliorare la sopravvivenza nei soggetti affetti da tale patologia. Essi affermano che i costi associati ad un vasto impiego dello screening non siano giustificati .

L'introduzione dello screening con PSA verso la fine del 1980 ha prodotto un cospicuo aumento nell'identificazione del carcinoma prostatico, ma a partire dal 1992 il tasso di identificazione è andato riducendosi e si avvicina oggi ai tassi osservati nell'epoca pre-PSA. Si ritiene inoltre che lo screening con PSA sia il più importante fattore che ha contribuito a ridurre la mortalità da carcinoma prostatico osservata per la prima volta nel 1996. Sono attualmente in corso due vaste sperimentazioni i cui risultati dovrebbero essere disponibili nel prossimo futuro.

La American Cancer Society e la American Urological Association suggeriscono uno screening annuale per il carcinoma prostatico con PSA e con esplorazione rettale, a partire dai 50 anni di età per la maggior parte dei soggetti e ad un'età inferiore nei soggetti ad alto rischio di sviluppare una neoplasia prostatica. Gli studi longitudinali di screening hanno evidenziato come il livello iniziale di PSA sia un forte fattore predittivo del rischio effettivo di sviluppare un carcinoma prostatico e come possa essere utilizzato per determinare gli intervalli ottimali di screening ed anche l'età a cui lo screening non sia ulteriormente indicato.

Il PSA è di gran lunga il più utile esame disponibile per identificare un carcinoma prostatico allorquando esso sia ancora confinato e potenzialmente curabile. Un valore limite di 2.5 ng/ml sembra essere adeguato, specialmente per la popolazione più giovane. La curva di aumento del PSA e la PSA density sono molto utili nel valutare soggetti con valori di PSA persistentemente aumentati nonostante una precedente biopsia negativa ed in questo caso i più appropriati valori di riferimento sembrano essere 0.75 ng/ml/anno e 0.1 rispettivamente. Poiché il PSA libero percentuale sembra correlarsi con l'aggressività del tumore, le neoplasie non rilevate dovrebbero probabilmente essere meno pericolose. Altri marcatori quali il PSA legato, hK2, i circuiti neurali (quali l'indice ProstAsure) si sono dimostrati promettenti negli studi preliminari.

Senza dubbio, i progressi degli ultimi anni hanno significativamente migliorato la nostra capacità di diagnosticare in modo certo ed efficace il carcinoma prostatico ad uno stadio precoce, allorché esso è ancora potenzialmente curabile. Occorre certamente proseguire nelle ricerche per migliorare ulteriormente lo screening e per definire quanto possano essere migliorate la sopravvivenza e la qualità di vita.

 

Immagine endoscopica della prostata