Parte seconda
Terapia
Terapia della colica renale
Considerata la patogenesi, una corretta terapia eziologica della colica renale è basata sui farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) come diclofenac, ketorolac, ecc. Oltre all’azione specifica anti-infiammatoria, questi farmaci agiscono bloccando la sintesi delle prostaglandine vasodilatatrici, con relativa riduzione del flusso plasmatico renale e della diuresi. Tutto ciò contribuisce ad abbassare la pressione all'interno della via escretrice, agendo direttamente sulla causa del dolore.
Nella pratica clinica è tuttora molto più comune l'uso degli antispastici: tali farmaci non costituiscono una terapia “eziologica”, ma la loro efficacia è indiscutibile. In effetti non è certo la componente antispastica ad essere attiva, ma l'intrinseca azione antidolorifica posseduta da questi preparati. Poco abituale in Italia è la somminisrazione di oppiodi, che costituisce invece la terapia standard nei paesi anglosassoni.
In corso di colica renale è utile evitare il sovraccarico di liquidi, sempre al fine di ridurre la diuresi e con essa la pressione endopielica. Questo semplice ragionamento scredita l'abitudine di infondere al paziente con colica renale dei liquidi per via endovenosa, associandovi gli antidolorifici.
Una pratica poco conosciuta, ma a volte efficacissima, è quella di individuare con attenzione sulla cute dell'addome del paziente il punto preciso dove pare concentrarsi superficialmente il dolore. Un piccolo pomfo sottocutaneo di acqua distillata qui praticato può indurre un'immediata quanto provvidenziale scomparsa del dolore.
In caso di febbre, specie se elevata e ad andamento settico, è opportuno iniziare al più presto una terapia antibiotica a largo spettro, possibilmente dopo un prelievo di urine per urocoltura.
Espulsione spontanea dei calcoli
Buona parte dei calcoli di diametro inferiore a 5-6 mm possono venire espulsi spontaneamente, sebbene a costo di episodi di colica renale. Quando i primi accertamenti, eseguiti dopo l'inizio della sintomatologia, evidenzino un piccolo calcolo a qualsiasi livello delle alte vie escretrici, non si pongono mai indicazioni ad alcun trattamento invasivo immediato. Se il calcolo è impegnato nell'uretere, è opportuno valutarne le possibilità di migrazione spontanea, ripetendo una radiografia dopo 1-2 settimane.
La prescrizione urologica più comune rimane in queste situazioni la terapia idropinica, effettuata con i cosiddetti "colpi d'acqua". Si tratta di far assumere al paziente circa 1 litro d'acqua in un periodo di 15-20 minuti, per stimolare un'onda di iperdiuresi tale da costituire una spinta propulsiva del calcolo ureterale. Il presupposto fisiologico è corretto, ma prima di prescrivere il carico idrico, è necessario valutare se le condizioni lo rendono opportuno (misura del calcolo, presenza o meno di dilatazione, presenza di alterazioni anatomiche della via escretrice). Se non si tengono presenti queste circostanze, la terapia di carico idrico può quindi risultare addirittura controproducente, scatenando delle coliche inutili. Per ovviare a questo rischio, si è da tempo cercato di associare alla pratica dei "colpi d'acqua" la somministrazione di farmaci atti ad aumentare la compiacenza della via escretrice. E' stata anche consigliata la somministrazione parenterale di glucagone, per la sua azione rilassante sulla muscolatura liscia. La terapia espulsiva proposta più di recente consiste nell'associazione di un calcio-antagonista (nifedipina retard, 20 mg x 2/die) e di un cortisonico (metilprednisolone retard, 8 mg x 2/die). Il razionale di questo tipo di terapia è quello di ottenere un rilassamento massimale della muscolatura liscia insieme ad un potente effetto anti-edemigeno sulla mucosa effetti non tutti i pazienti sopportano la terapia a piene dosi, che va quindi ridotta al bisogno.
Quando un calcolo ureterale non progredisce entro un periodo di 2-3 mesi, anche in assenza di sintomatologia, si devono porre indicazioni alla sua rimozione, con le metodiche più opportune. Allo stesso modo, in caso di coliche subentranti e comparsa di febbre, l'intervento avrà indicazioni più urgenti.
Terapia interventistica
I piccoli calcoli renali solitari (specie se calceali inferiori), di dimensioni pari od inferiori ai 5 mm, senza sintomi né complicanze locali, hanno per ora ancora un’indicazione conservativa, limitata ad un semplice controllo periodico.
Fino a pochi anni fa la sola opzione terapeutica consisteva negli interventi chirurgici convenzionali:
L’evoluzione della terapia non-chirurgica della calcolosi è andata di pari passo con il rapido sviluppo dell’endourologia, dovuto alla disponibilità di strumenti ed accessori sempre più miniaturizzati ed affidabili. A ciò si aggiunge l’introduzione della litotrissia extracorporea ad onde d’urto, che ha radicalmente modificato l’approccio clinico alla calcolosi negli ultimi a partire dalla metà degli anni ’80.
Le indicazioni al trattamento costituiscono un argomento in continua evoluzione, sebbene si stia gradualmente delineando un certo consenso di massima su alcuni punti, riassunti nella Tabella. In linea di massima, disponendo di tutte le risorse tecnologiche più moderne, l'80% delle calcolosi potrà oggi essere trattato per via extracorporea, il 15% per via canalicolare e solo il 5% con l'intervento a cielo aperto. L'efficacia di un trattamento è valutata in base alle possibilità di rendere il paziente libero da calcoli o frammenti clinicamente rilevanti.
Litotrissia extracorporea (Extracorporeal Shock Wave Lithotripsy, E.S.W.L.)
La metodica si basa sull'emissione controllata e mirata delle onde d'urto, che sono una forma di trasmissione dell'energia esplosiva sotto forma di onde acustiche. Le onde d'urto possono essere generate in vari modi ed altrettanto variamente collimate, per portare a livello del calcolo urinario un'energia sufficiente a causarne la frammentazione. I primi generatori sono stati di tipo elettroidraulico, dove l'onda d'urto è prodotta dallo scoccare di una scintilla tra due elettrodi (spinterometro) posti in ambiente liquido; le onde sono quindi riflesse e concentrate da un ellissoide mobile. Il puntamento avviene spostando il paziente od il generatore fino a far combaciare il fuoco secondario con il calcolo da trattare, ciò avviene con un sistema servoassistito, sotto controllo radiografico od ecografico. Altri tipi di produzione delle onde d'urto sono quello piezo-elettrico ed elettro-magnetico; la tendenza è quella di realizzare litotritori sempre più compatti, potenti e maneggevoli, per trattare più facilmente ed economicamente la maggior parte delle calcolosi. In teoria tutte le calcolosi potrebbero essere trattate per via extracorporea, ma la pratica ha definito delle indicazioni più ristrette, entro le quali il trattamento ha comunque un'efficacia terapeutica molto elevata. Tutti i trattamenti che non necessitano di manovre accessorie possono essere effettuati ambulatorialmente, non essendo necessaria con i litotritori di ultima generazione alcuna anestesia. I frammenti litiasici devono essere espulsi spontaneamente dal paziente, questo avviene in genere senza particolari problemi, a patto che la loro massa non sia ingente e che non si esageri con il carico idrico nelle ore immediatamente successive al trattamento. I calcoli di cistina ed acido urico sono molto più resistenti alle onde d'urto e la loro localizzazione è meno agevole, almeno con il puntamento radiologico. Il trattamento dei calcoli ureterali è altrettanto efficace, a patto che i medesimi siano “in transito” e non abbiano ancora decubitato a lungo sulla mucosa, aderendovi tenacemente ed inducendo un edema reattivo. Le onde d'urto causano un documentato danno al parenchima renale, con possibile insorgenza di ipertensione. Il rischio è generalmente proporzionale alla quantità d'onde somministrate: per trattamenti routinari, costituiti da meno di 2000 onde di shock, si può considerare molto basso. Fra le complicanze più gravi, è stata descritta la formazione d'ematomi retroperitoneali ed addirittura la possibilità di rotture del rene in seguito al trattamento.
Litotrissia endo-urologica
Vi sono oggi molteplici possibilità di trattare i calcoli sotto controllo endoscopico diretto. Le metodiche si possono suddividere in retrograde (uretero-renoscopia) ed anterograde (nefroscopia percutanea). Per la frammentazione si dispone di vari tipi di sonde: ad ultrasuoni, ad onde d'urto (elettroidrauliche), a laser-olmio e ad energia balistica (Lithoclast). Queste due ultime forme di energia sono oggi le maggiormente utilizzate. L'evoluzione tecnologica in questo campo è velocissima, con il costante sviluppo d'endoscopi tanto più ridotti nel calibro, quanto più efficienti nelle possibilità ottiche ed operative. La tendenza di massima è oggi quella di prediligere in linea di massima le manovre retrograde per via naturale, anche per raggiungere le cavità intrarenali, utilizzando strumenti flessibili con possibilità di ampie deflessioni attive e passive dell’apice distale.
Ureteroscopia operativa
Vi sono strumenti rigidi e flessibili, anche questi ultimi con buone possibilità operative, almeno per i modelli più recenti. L'endoscopio è introdotto attraverso l'uretra e la vescica, quindi, dopo aver eventualmente dilatato il meato ureterale, è fatto progredire lungo l'uretere fino al calcolo. Oltre al meato, gli ostacoli da valicare sono costituiti dall'incrocio con i vasi iliaci e dall'edema reattivo della mucosa circostante il calcolo. E' necessario poter disporre di una pressione idraulica efficiente, per distendere parzialmente l'uretere e mantenere limpido l’ambiente. Se la frammentazione, effettuata con una delle sonde di cui sopra, è stata sufficiente, non è in genere necessario asportare meccanicamente i frammenti. Viene invece lasciato in sede un cateterino, oppure un'endoprotesi a doppio j, per garantire temporaneamente la canalizzazione ureterale.
Pieloscopia percutanea operativa (PerCutaneous Nephro-Lithotripsy, P.C.N.L.
L'accesso percutaneo è praticato previa puntura radio- od ecoguidata mirata generalmente ai calici inferiori. Il tramite muscolo-fasciale viene quindi dilatato fino al calibro sufficiente ad accogliere la camicia del nefroscopio. Anche qui possono essere utilizzate le varie sonde da litotrissia; dopo la frammentazione, i residui di maggiori dimensioni possono essere estratti con pinze idonee. Dopo il trattamento viene lasciato in sede attraverso il tramite un catetere nefrostomico, per 24-48 ore.
Infine ricordiamo ancora la "chemio-litolisi", ovvero la dissoluzione in-situ dei calcoli ottenuta con l'instillazione endo-pielica di opportune soluzioni “litiche”. Al momento l'unica variazione inducibile è quella del pH, pertanto è proponibile solo la dissoluzione dei calcoli nella cui formazione entra in gioco questo parametro urinario. L'alcalinizzazione urinaria favorisce la dissoluzione dei calcoli di acido urico e cistina, così come l'acidificazione è efficace sui calcoli fosfatici. Le soluzioni vengono portate nei pressi del calcolo tramite cateteri nefrostomici od ureterali, tramite i quali può anche essere rilevata la pressione endopielica, che deve essere mantenuta bassa e costante. Questa metodica, estesamente utilizzata estesamente solo in pochi centri, è forse oggi messa in ombra dalle altre possibilità terapeutiche, resta in ogni caso da tener presente, ad esempio per contribuire alla pulizaia totale dei frammenti in calcolosi uratiche o fosfatiche complesse.
I seguenti trattamenti sono molto specifici per ciascun tipo di calcolo urinario, devono quindi essere prescritti in modo ragionato, dopo un’attenta valutazione della situazione clinica.
Diuretici tiazidici
I diuretici tiazidici dimostrano una provata efficacia nella prevenzione della calcolosi recidivante da ipercalciuria. La somministrazione di questi farmaci causa un maggiore riassorbimento renale del calcio, pertanto una più elevata frazione del calcio alimentare viene fissata all’osso e meno calcio rimane nelle urine ad aumentare il rischio litogeno. In alcuni studi a doppio cieco controllati con placebo, i tiazidici hanno ridotto alla metà il numero di recidive nel tempo della calcolosi. La riduzione della calciuria è di circa il 50%, indipendentemente dal valore di partenza. Se la calciuria non è elevata, il farmaco non ha alcun effetto sulla litogenesi. La dose efficace del tiazidico è variabile da paziente a paziente, deve quindi essere controllata ripetutamente. I tiazidici possono collateralmente causare una ipopotassiemia, una ipomagnesiuria ed una riduzione dei citrati urinari. La prima situazione può essere potenzialmente pericolosa, la seconda può secondariamente limitare il potere inibitorio delle urine legato appunto ai citrati. Ottimale in questi pazienti è quindi la somministrazione di citrato di potassio e magnesio.
Citrato di potassio
Questa sostanza può essere usata come alcalinizzante nel trattamento di prima scelta per i calcoli di acido urico, per i calcoli di calcio che derivano da una ipocitraturia e per compensare la perdita di potassio legata alla somministrazione di tiazidici. Il citrato di potassio si è dimostrato efficace in uno studio prospettico a doppio cieco che ha interessato pazienti con calcoli di ossalato di calcio ed ipocitraturia. In genere la dose iniziale giornaliera è di 1 g tre volte al giorno. Poichè la somministrazione di potassio può essere pericolosa nell’insufficienza renale, è buona norma non prescrivere questa sostanza prima di avre accertato una normale funzione renale ed una normale potassiemia.
Più recentemente le indicazioni all’uso del citrato di potassio sono state estese ed assai generalizzate. Ad esempio, è diventata prassi comune la somministrazione dopo la litotrissia extracorporea, in presenza di frammenti clinicamente significativi, laddove il citrato ritarderebbe un processo di ri-aggregazione dei frammenti, prolungando le possibilità d’espulsione spontanea.
Si è reso da poco disponibile il citrato di potassio e magnesio, che può essere utilizzato con gli stessi scopi del semplice citrato di potassio, con il valore aggiunto dal magnesio, altro noto inibitore della cristallizzazione dell’ossalato di calcio.
Poichè la cistina risulta più solubile in una urina alcalina piuttosto che acida il citrato di potassio è anche usato nel trattamento della cistinuria. Il fine è quello di ottenere un pH superiore a 7 durante tuuto l’arco delle 24 ore, pertanto la dose deve essere aumentata ed ulteriormente frazionata.
Dieta a basso contenuto di sodio
L’ipercalciuria è in stretto rapporto con l’apporto dietetico di sodio. Una persona normale introduce mediamente con la dieta una quantità di sodio giornaliera di circa 2,5 g. Se l’apporto di sodio viene ridotto ad 1,5 g, una eventuale ipercalciuria assorbitiva tenderà certamente a ridursi. Diete francamente iposodiche (< 1 g/die) costituiscono un valido mezzo per ridurre la calciuria così come i diuretici tiazidici. D’ogni modo, finora nessun protocollo sperimentale ha documentato una efficacia della riduzione dell’introduzione di sodio sulla calcolosi recidivante. Comunque tale indicazione dovrebbe essere una ragionevole alternativa quando i tiazidici non possano essere assunti a causa degli effetti collaterali o per intolleranza. La dieta iposodica è anche in grado di ridurre la dose efficace di tiazidico e riduce la perdita renale di potassio
Dieta ipo-ossalica
Quando l’escrezione urinaria di ossalati è elevata e tale aumento non è legato ad alcuna malattia sistemica, una modificazione della dieta è la sola alternativa terapeutica. Gli ossalati della dieta derivano da alcuni alimenti ben identificabili, fra i più comuni le verdure a foglia verde scuro (spinaci, ecc.), i peperoni, gli asparagi, il cioccolato e la frutta secca. Una lista di alimenti da evitare o ridurre per l’alto contenuto di ossalati è sufficiente per la maggior parte dei pazienti. Una dieta ipossalica è quasi sempre adottata quando l’iperossaluria deriva da una patologia dell’intestino tenue con relativo aumento dell’assorbimento adeguato dell’acido ossalico.
Dieta ipocalcica
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, una dieta a basso contenuto di calcio non è indicata nel trattamento della calcolosi. Infatti una persona ha bisogno di almeno 800 mg di calcio con la dieta al giorno per prevenire l’osteoporosi. Una dieta ipocalcica è inoltre una causa potenziale di iperossaluria, poichè una bassa quantità di calcio nell’intestino permette agli ossalati della dieta di essere assorbiti in maggiori quantità. Gli ossalati dovrebbero infatti normamlmente precipitare combinandosi con il calcio in un composto non riassorbibile da parte dell’intestino. Un'adeguata assunzione di calcio con la dieta dovrebbe essere raccomandata in tutti i pazienti con iperossaluria. Il calcio dovrebbe provenire dagli alimenti, poichè i supporti di calcio spesso portano ad un assorbimento troppo rapido, adducente a pericolosi picchi di ipercalciuria.
Dieta a basso contenuto di grassi
Quando un malassorbimento intestinale è la causa della iperossaluria e dei calcoli, una dieta particolare che fornisca le calorie necessarie con un basso contenuto di grassi può aiutare nel ridurre l’iper-assorbimento di osslati: Questo genere di dieta dovrebbe essere gestito da un dietologo esperto.
Piridossina (vitamina B6)
Nei pochissimi pazienti che hanno una iper-produzione ereditaria di ossalati la piridossina per via orale dovrebbe stimolare l’enzima alterato e ridurre i livelli di ossalati nelle urine, aiutando a prevenire la calcolosi e l’insufficienza renale. Si inizia da una bassa dose di piridossina raggiungendo gradualmente quella massima. Se il farmaco non causa una evidente diminuzione dell’iperossaluria, non deve essere usato poiché può causare importanti effetti collaterali, i più importanti dei quali a carico delle terminazioni nervose.
Dieta a basso contenuto di purine
Le basi puriniche e pirimidineche formano il DNA e l’RNA, un aumentata assunzione di purine causa una iperuricuria che è essa causa di calcoli di acido urico, ma anche di ossalato di calcio. Le purine nella dieta derivano principalmente dalle carni rosse e dagli insaccati, alimenti particolarmente ricchi in nuclei cellulari e quindi in DNA ed RNA. L’assunzione di questi alimenti in quantità superiore ai 400 g/die è in grado di favorire la formazione di calcoli, dovrebbe quindi essere ridotta di almeno 1/3.
Allopurinolo
Questo farmaco inibisce la conversione delle purine in acido urico, può pertanto ridurre l’iperuricuria nei pazienti con calcoli renali. Uno studio prospettico triennale ha mostrato una efficacia dell’allopurinolo nel prevenire i calcoli di calcio dovuto ad una iperurucuria.
In generale è preferibile ridurre l’introito di purine ed evitare il farmaco ma in alcune persone la restrizione dietetica è impraticabile e le recidive della calcolosi richiedono un trattamento. L’allopurinolo è generalmente ben tollerato, può comunque talora causare importanti effetti collaterali di tipo cutaneo e sistemico, per intolleranza.
Acido aceto-idrossamico
Questo farmaco era risultato promettente per il trattamento dei calcoli di struvite derivanti da un'infezione. Il farmaco inibisce l’ureasi batterica, che porta alla formazione di ammoniaca ed alcalinizzazione urinaria. Sfortunatamente gli effetti collaterali sono considerevoli ed includono l’anemia emolitica ed importanti cefalee. Il farmaco, non disponibile in Italia, è quindi utilizzato relativamente di rado, salvo che in situazioni gravi in cui la pericolosità della calcolosi infetta supera di per se stessa i rischi legati alla somministrazione del farmaco.
D-Penicillamina e Thiola
Questi farmaci aumentano la solubilità della cistina e possono prevenire le recidive dei calcoli dovuti alla cistinuria. Essi devono essere associati ad una iperidratazione e ad un’alcalinizzazione delle urine. Gli effetti collaterali si verificano in oltre il 50 % dei pazienti ed includono parestesie (trattabili con supplementi di zinco), febbre, artrite ed insufficienza renale. A causa di questi numerosi effetti collaterali, tali farmaci dovrebbero essere prescritti soltanto quando il carico idrico e l’alcalinizzazione risultano insufficienti.
Bibliografia
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