INTRODUZIONE.
La neuromodulazione sacrale (NMS) è una metodica innovativa volta alla risoluzione di alcune patologie disfunzionali del basso apparato urinario, di complesso inquadramento eziopatogenetico e spesso caratterizzate da scarse o deludenti possibilità di cura mediante le convenzionali terapie. L’introduzione clinica della metodica risale agli anni ’80 e, negli ultimi decenni, è progressivamente cresciuto l’interesse scientifico nei riguardi della NMS. Nuove ipotesi circa il meccanismo di azione e l’estensione delle indicazioni cliniche della metodica hanno reso sempre più stimolante l’argomento della NMS.
Tale metodica consiste in una elettrostimolazione continua, secondo parametri elettrici ben definiti, variabili nel tempo, del ramo ventrale di un nervo sacrale all’ingresso del cavo pelvico, mediante l’impianto chirurgico di un sistema programmabile dall’esterno per via telemetrica (“Pace-Maker vescicale”). Il sistema rappresenta il primo dispositivo impiantabile in grado di agire sulla disfunzione vescico sfinterica (LUTD) alla base del sintomo minzionale (LUTS), migliorando la qualità di vita dei pazienti.
INDICAZIONI E RAZIONALE.
Le principali indicazioni uro-ginecologiche alla neuromodulazione sacrale, a tutt’oggi codificate ed inserite in protocolli terapeutici ben definiti, sono:
1) sintomi minzionali della fase di riempimento secondari ad una condizione di “idiopathic detrusor overactivity” e/o di “urethral relaxation incontinence”.
2) sintomi minzionali della fase di svuotamento, di natura non organica, che configurano il quadro di “dysfunctional voiding” secondario ad una condizione di “detrusor underactivity”, di “acontractile detrusor” ovvero di “urethral overactivity”. 3) le sindromi dolorose pelvi-perineali con una sintomatologia minzionale associata (“genito-urinary pain syndromes”).
Il denominatore comune dei disturbi minzionali sovracitati può essere riconosciuto in un’alterazione della coordinazione riflessa tra attività detrusoriale, sfinterica e del pavimento pelvico. La stimolazione elettrica cronica dei nervi sacrali esercita una “influenza modulatoria” sui circuiti ed archi nervosi riflessi a partenza dal pavimento pelvico e che regolano l’attività ed il funzionamento del basso apparato urinario e di tutta la muscolatura pelvi-perineale.
Questa metodica è dunque paradossalmente in grado di avere un effetto terapeutico su sintomi e condizioni disfunzionali opposte, quali l’incontinenza e la ritenzione urinaria. Il razionale della elettroneuromodulazione non si basa infatti sugli effetti ben definiti, diretti o indiretti, di tipo eccitatorio o inibitorio che la stimolazione di un nervo determina (o che ci si aspetta che determini), quanto piuttosto sulla “influenza modulatoria” che essa avrebbe su di un intero distretto nervoso, a livello centrale e periferico, e sul funzionamento di un apparato regolato da differenti e complessi circuiti nervosi (1). Il concetto di neuromodulazione è quindi diverso da quello di elettrostimolazione funzionale per la quale lo stimolo elettrico sostituisce un controllo nervoso deficitario nell’espletamento di una funzione e che trova in urologia un classico esempio nell’intervento di Brindley (impianto di un elettrodo stimolante direttamente sulle radici sacrali anteriori al fine di ottenere una elettrominzione comandata).
Le terapie convenzionali, comunemente riservate alle diverse LUTD sono rappresentate dalla rieducazione perineale, dall’elettrostimolazione del piano perineale eseguita con dispositivi non impiantabili, da altre forme di elettrostimolazione periferica non invasiva e dalla modulazione farmacologica. Tali trattamenti agiscono direttamente sulle strutture del basso apparato urinario, o con meccanismo mediato attraverso i diversi riflessi neuronali che controllano il funzionamento dello stesso. L’effetto di tali terapie usualmente cessa con la sospensione delle stesse, o si protrae per periodi di tempo relativamente brevi. La NMS presenta il vantaggio di utilizzare un dispositivo impiantabile per svolgere un’elettrostimolazione continua dei vari circuiti riflessi (influenza modulatoria), e questo rappresenterebbe un vantaggio nei confronti delle disfunzioni da trattare. La sospensione dell’elettrostimolazione determina infatti, come dimostrato dai periodici controlli ai quali i pazienti sono sottoposti, una ripresa pressoché istantanea del disturbo minzionale. Tale dato clinico trova conferma nella verifica urodinamica (2, 3). A tale proposito, quindi, le diverse posizioni a favore della NMS si basano sulla necessità di protrarre nel tempo la terapia per mantenere i risultati sul disturbo funzionale e quindi sul sintomo. I dati relativi al follow-up a lungo termine degli effetti della NMS, almeno sui disturbi minzionali secondari ad una condizione di “idiopathic detrusor overactivity” e/o di “urethral relaxation incontinence” confermano il mantenimento dell’effetto della NMS nel tempo.
TECNICA DI ESECUZIONE.
TEST DI VALUTAZIONE PERIFERICA DELL’INTEGRITA’ FUNZIONALE DEI NERVI SACRALI: “PERIPHERAL NERVE EVALUATION” (PNE).
Al termine dell’iter diagnostico, esclusa la presenza di lesioni organiche presenti ed alla base del disturbo minzionale, qualora il paziente risulti un possibile candidato alla NMS, la selezione viene effettuata attraverso un test di elettrostimolazione percutanea di un nervo sacrale (PNE). Il PNE viene utilizzato per definire l’integrità funzionale dei nervi sacrali, bilateralmente, (test acuto) attraverso la valutazione della risposta sensitiva e motoria conseguente all’elettrostimolazione acuta periferica dei nervi. Al test acuto fa seguito un test cronico di elettrostimolazione, della durata di alcuni giorni, per definire gli effetti clinici e funzionali della terapia. In corso di test acuto, in seguito alla stimolazione di S3 viene valutata la risposta sensitiva a livello dell’ano e della vagina o dei testicoli e del pene; la risposta motoria viene valutata obiettivamente come contrazione “a soffietto” dell’ano e flessione plantare dell’alluce, spesso associata alla stessa risposta delle altre dita del piede (4).
La preparazione del paziente per l’esecuzione del test prevede la posizione prona, con le ginocchia leggermente flesse ed il lettino spezzato all’altezza del bacino per minimizzare la lordosi lombare; le natiche vengono divaricate con due cerotti, in modo da ottenere una buona visione dello sfintere anale e del piano perineale. La cute viene preparata e detersa e viene delimitato il campo d’azione. Diversi criteri di anatomia topografica sono stati proposti per l’individuazione dei forami sacrali. Anche se la scelta del forame sacrale in cui posizionare il filo elettrodo viene fatta principalmente sulla base delle risposte sensitive e motorie determinate dalla elettrostimolazione condotta attraverso gli aghi elettrodo inseriti nei forami sacrali, nella maggioranza dei casi il nervo da stimolare è S3. Per questo motivo si cerca di inserire il primo ago nel terzo forame sacrale, la cui individuazione avviene sulla base di alcuni reperi anatomici. Potremmo riassumere le indicazioni di anatomia topografica per il repere dei forami sacrali in due gruppi: A) pazienti non in sovrappeso: demarcata la linea sacrale mediana, si procede alla individuazione delle Spine Iliache Posteriori Superiori (SIPS) che corrispondono al passaggio tra il forame di S1 e quello di S2; spesso, soprattutto nelle pazienti di sesso femminile, tali reperi corrispondono alle fossette laterali, subito al di sotto del passaggio lombosacrale. Tracciando una linea immaginaria che definisca le ali del sacro fino all’apice del coccige, all’incirca un dito e mezzo caudalmente al forame di S2, si identifica il repere di S3. B) pazienti in sovrappeso: la grande incisura ischiatica viene identificata e viene tracciata una linea tangente al margine superiore della stessa; il prolungamento mediale di tale linea corrisponde alla proiezione, ad un dito e mezzo dalla linea sacrale mediana, del forame di S3 (Fig.1). Attraverso l’ago è possibile posizionare il filo elettrodo e verificarne la situazione ottimale sulla base delle risposte alla stimolazione elettrica (Fig.2); dopo aver rimosso il mandrino dall’elettrodo, lo stesso viene quindi fissato alla cute con appositi cerotti trasparenti e collegato all’elettrodo di riferimento (la stimolazione è monopolare) e ad un apparecchio portatile di elettrostimolazione (Fig.3). L’utilizzo dell’elettrodo temporaneo “a spirale” con mandrino ha permesso di ridurre notevolmente la percentuale di sposizionamento dell’elettrodo nel corso della fase cronica del test. Le caratteristiche della spirale permettono, una volta ritirato il mandrino, una adesività ai tessuti circostanti che ne limita i movimenti all’interno del forame sacrale e nel tragitto dalla cute al sacro. Il paziente è invitato ad agire sul generatore di impulsi portatile solo variando l’intensità della stimolazione, sulla base della risposta sensitiva. Ha inizio così la fase cronica del PNE, della durata di alcuni giorni, nel corso dei quali la stimolazione elettrica è continua e regolata secondo parametri elettrici ben definiti a seconda della disfunzione da trattare. La procedura è di tipo ambulatoriale, ma il paziente è controllato a scadenze regolari, verificando sempre il corretto posizionamento dell’elettrodo ed i dati segnalati sul diario minzionale, eventualmente associato al diario del dolore (scala analogica). Qualora vi siano dei dubbi sul corretto posizionamento dell’elettrodo temporaneo (sensibilità riferita dal paziente come variata nel tempo) il controllo radiologico permette di definire con sufficiente accuratezza la situazione dell’estremo distale dell’elettrodo. In caso di buona risposta clinica, è opportuno eseguire una valutazione urodinamica dell’effetto della terapia, per verificare il risultato anche dal punto di vista funzionale. Nel caso di risposta positiva al PNE, viene solitamente ripetuto un secondo test a distanza di tempo non inferiore ad un mese, prima di prendere in considerazione l’impianto definitivo. E’ importante informare estesamente il paziente circa i limiti della terapia con Neuromodulazione, la necessità di variare periodicamente i parametri della stimolazione per mantenere i risultati nel tempo, le possibili complicanze relative all’impianto definitivo ed, infine, circa la possibilità di rimuovere il sistema impiantato qualora i risultati non si mantenessero costanti o non rispecchiassero, con l’impianto definitivo, quelli ottenuti con il test cronico.
IMPIANTO CHIRURGICO DEL SISTEMA DEFINITIVO
Alla selezione dei pazienti con il PNE, in caso di risposta positiva al test, segue l’impianto definitivo. Il sistema impiantabile consiste in un elettrodo quadripolare (Fig.4) che viene introdotto all’interno del forame sacrale prescelto, collegato tramite un cavo di estensione, tunnellizzato nel sottocute, ad un generatore di impulsi (IPG) programmabile dall’esterno per via telemetrica ed alloggiato in una tasca sottocutanea ricavata in un quadrante inferiore dell’addome o superiore del gluteo (Fig. 5).
L’intervento chirurgico viene effettuato a paziente in posizione prona con flessione delle anche e ginocchia di 45 gradi. Si procede quindi ad un’accurata detersione del campo operatorio, dalla regione medio-dorsale alle cosce, eseguita con materiale jodato saponoso, seguita dalla comune preparazione con disinfettante alcoolico. Nella preparazione del campo operatorio è importante lasciare visibili sia i piedi che la regione anale (entrambe le regioni vengono preparate e ricoperte con steril drapes). La necessità di stimolare le radici sacrali nel corso dell’intervento, per controllare l’esatta posizione dell’elettrodo, pone particolari problemi anestesiologici, obbligando l’anestesista a mantenere integra la conduzione neuromuscolare durante tutta la parte centrale dell’anestesia. E’ importante utilizzare curari a rapida azione solo per l’induzione dell’anestesia; in seguito il silenzio respiratorio e muscolare dovrà essere ottenuto e mantenuto mediante l’iperventilazione del paziente ed aumentando la profondità del piano della narcosi. Ciò farà si che il paziente mantenga l’apnea, non tossisca e non si muova durante le manovre chirurgiche. Nella seconda parte dell’intervento si può tranquillamente somministrare un curaro competitivo e contemporaneamente alleggerire il piano della narcosi. E’ preferibile far precedere il tempo chirurgico dall’esecuzione di un PNE, per definire la posizione del forame sacrale da isolare e valutare le risposte motorie alla stimolazione elettrica delle strutture nervose. Si esegue quindi una incisione longitudinale a livello dei due terzi inferiori del sacro, di circa 10 cm. di lunghezza a livello della cresta sacrale media. La fascia toracolombare viene liberata per via smussa e quindi incisa 1,5 cm lateralmente alla linea mediana, a livello del forame precedentemente individuato con il PNE. Si divaricano i muscoli presacrali sino al raggiungimento del periostio sacrale (che viene agevolmente identificato come una lamina biancastra traslucida e che deve essere rispettato nella sua integrità per agevolare il fissaggio dell’elettrodo). Viene quindi identificato il forame sacrale, situato al di sotto della sede di attacco del muscolo grande gluteo che, per una buona esposizione dl forame, viene inciso per un breve tratto; all’interno del forame viene quindi inserito l’elettrodo quadripolare. La posizione dell’elettrodo è stabilita sulla base delle risposte motorie conseguenti alla stimolazione di ogni singolo polo; è opportuno procedere molto accuratamente nella valutazione delle risposte motorie: un movimento troppo evidente a livello del piede potrebbe esitare in disturbi sensitivi distali nel postoperatorio, con conseguenti difficoltà nella programmazione del generatore di impulsi. Deve inoltre essere utilizzata un’intensità di stimolazione inferiore ai 4 Volts, per evitare che le risposte all’elettrostimolazione siano evidenti anche in caso di non corretto posizionamento dell’elettrodo. Solo qualora si ritenga di aver ottenuto la posizione ottimale dell’elettrodo si può procedere al suo fissaggio al periostio con punti non riassorbibili (Fig.6). A questo punto, un controllo radiologico intraoperatorio con immagini in anteroposteriore (per verificare la corretta direzione dell’elettrodo) ed in latero-laterale (rapporti con gli spazi intervertebrali sacrali) permette di procedere con sicurezza alla conclusione dell’intervento (Fig.7). Le immagini radiologiche intraoperatorie potranno essere inoltre utilizzate nel follow-up del paziente, in caso di malfunzionamento del sistema dovuto a sospetto sposizionamento dell’elettrodo, come termine di confronto. L’estremità prossimale dell’elettrodo quardipolare viene quindi trasportata verso il fianco per via sottocutanea con apposito tunnellizzatore. Si prepara una tasca sottocutanea nel quadrante addominale inferiore o a livello gluteo dove si colloca il generatore di impulsi ed ad esso si collega il cavo di estensione. Il generatore di impulsi, programmabile dall’esterno per via telemetrica, viene attivato in seconda giornata.
E’ stata descritta la tecnica classica dell’impianto chirurgico, utilizzata fin dall’introduzione della NMS nella pratica clinica. Su tale procedura si basano i risultati della terapia, riportati in letteratura e periodicamente aggiornati. Negli anni, diversi gruppi di lavoro hanno ideato ed utilizzato tecniche modificate di impianto. Una prima modifica alla tecnica classica, per quanto riguarda il tempo chirurgico, fu introdotta nel 1997 da Janknegt, il quale propose l’impianto in due tempi che prevedeva l’impianto dell’elettrodo definitivo collegato ad uno stimolatore esterno, come durante un comune test (non si procedeva subito all’utilizzo di cavo di estensione e di generatore di impulsi impiantabile) (5). In caso di risposta clinica positiva, si procedeva all’impianto di cavo di estensione e di generatore di impulsi. I risultati dell’utilizzo della tecnica furono incoraggianti: l’80% dei pazienti in precedenza ritenuti non eligibili, al PNE, per l’impianto definitivo riportò un netto miglioramento con l’utilizzo dell’elettrodo definitivo. Nonostante l’obiettivo dell’impianto in due tempi fosse semplicemente quello di dimostrare che la tecnica di esecuzione del PNE era passibile di miglioramenti, molti gruppi scelsero di adottare la tecnica per ridurre i tempi di esecuzione dell’impianto definitivo.
Nel 1998, fu pubblicato, da parte del gruppo di Thuroff, il primo lavoro sull’impiego della stimolazione bilaterale (6). Tale tecnica prevedeva per la prima volta una sostanziale modifica nella tecnica chirurgica di impianto degli elettrodi, con utilizzo di una laminectomia “su misura” per accedere direttamente ai nervi sacrali ed impiantare su questi elettrodi (strutturalmente diversi da quelli utilizzati nella tecnica classica) a diretto contatto con i nervi. I risultati riportati nel tempo, relativi all’impianto bilaterale previa laminectomia sacrale, non sono mai stati confrontati con quelli dell’impianto monolaterale con tecnica classica; ad oggi non è ancora disponibile una risposta in merito alla maggiore efficacia della stimolazione bilaterale versus monolaterale, né all’efficacia dell’impianto chirurgico modificato, tramite approccio diretto alle radici sacrali. Recentemente è stata proposta una ulteriore modifica all’impianto dell’elettrodo definitivo (Mamo, Spinelli) che prevede l’introduzione dello stesso per via percutanea ed il suo fissaggio alla fascia toracolombare (7). Anche tale tecnica presenterebbe il vantaggio di ridurre notevolmente i tempi chirurgici, oltre a quello di sfruttare le risposte sensitive all’elettrostimolazione nervosa (è proposto l’utilizzo dell’anestesia locale). Non sono ancora disponibili dati relativi all’affidabilità della metodica, in particolare per quanto riguarda le caratteristiche del fissaggio dell’elettrodo definitivo nel tempo.
Qualsiasi atto chirurgico non si conclude con l’apposizione dell’ultimo punto di sutura. Questo è particolarmente importante nel caso in cui la chirurgia abbia previsto l’impianto di un dispositivo protesico la cui funzione si esplichi nella regolazione del controllo nervoso di un organo o di un apparato. Il compito dello specialista che ha dato indicazione all’impianto di un dispositivo di NMS inizia a farsi oneroso ad impianto definitivo effettuato. In base al meccanismo d’azione di una terapia di “neuromodulazione”, a differenza di una stimolazione diretta, l’efficacia del trattamento nel tempo dipende dalle periodiche modifiche dei parametri di stimolazione. Come già ricordato in precedenza, in caso di stimolazione diretta di una struttura nervosa (come accade nell’impianto di un dispositivo di stimolazione diretta delle radici sacrali anteriori), i parametri di stimolazione scelti al momento della prima attivazione del sistema rimangono immodificati nel tempo. Nel caso della NMS, invece, soprattutto nel caso ci si trovi a trattare disturbi minzionali complessi, di solito associati a sindromi dolorose pelviche, solo accurate e ripetute modifiche dei parametri di stimolazione permettono di ottenere, nel tempo, risultati confortanti. Come già ricordato in precedenza, tali modifiche dei parametri possono essere eseguite sotto controllo urodinamico, per definire con maggiore accuratezza gli effetti funzionali della stimolazione. Nel caso di disturbi di svuotamento sostenuti da una mancata coordinazione tra rilasciamento dello sfintere striato dell’uretra e contrazione detrusoriale in svuotamento, i risultati di tali modifiche dei parametri sono particolarmente eclatanti (Fig.8 e Fig.9).
Non solo le modifiche dei parametri di stimolazione permettono di ottenere risultati sempre più soddisfacenti, in termini di miglioramento dei sintomi dei pazienti. Nel caso in cui la disfunzione vescico-sfinterica alla base del disturbo sia rappresentata da una “idiopathic detrusor overactivity”, l’effetto della NMS si esplica in una riduzione del grado di iperattività detrusoriale, non nella sua completa abolizione. Dal punto di vista clinico, questo si manifesta in un miglioramento della qualità della vita. Frequentemente, nel tempo, l’associazione di una terapia anticolinergica a basso dosaggio (prima inefficace, anche ad alto dosaggio, o non tollerata) permette di ottenere risultati sempre migliori, con un aumento significativo del tempo di continenza. Tutte queste modifiche terapeutiche possono essere eseguite solo nell’ambito di un accorto follow-up, regolato sulla base dell’analisi del diario minzionale, periodicamente compilato dai pazienti. Nel caso di un disturbo di svuotamento, il follow-up deve essere ancora più accorto. Periodici controlli del residuo vescicale post minzionale possono evidenziare l’insorgenza di uno svuotamento vescicale incompleto ancora prima che si manifestino i sintomi di disuria o di insoddisfazione post-minzionale (sintomi che comunque vanno subito riferiti da parte del paziente).
Di tutto questo, come già ricordato in precedenza, il paziente deve essere avvertito ed estesamente informato prima dell’impianto.
Numerosi lavori internazionali hanno riportato, nell’ambito di studi prospettici multicentrici, i risultati clinici nel tempo della terapia con Neuromodulazione Sacrale. I dati dei diversi lavori concordano per quanto riguarda alcuni punti di fondamentale importanza: 1) Nel caso in cui il sintomo da trattare sia rappresentato da un’incontinenza urinaria da urgenza sostenuta da iperattività detrusoriale in fase di riempimento, i risultati della terapia tendono a mantenersi costanti nel tempo e variano nei diversi report (nel caso in cui vengano espressi in % di miglioramento, questa è superiore al 50% al follow-up a diciotto mesi; quando i risultati vengono espressi in riduzione del numero di episodi di incontinenza al giorno, a 12 mesi questi passano da 5.4 ± 3.9 a 1.1 ± 1.6) (8, 9, 10, 11). 2) Quando l’indicazione alla NMS sia rappresentato dalla ritenzione urinaria di origine non ostruttiva, i dati relativi al numero di cateterismi al giorno, a 18 mesi dall’impianto, sono riportati, in una prima serie di pazienti, una riduzione nel numero dei cateterismi da 6.1 a 2.9, con volumi giornalieri totali da 1560 a 343 ml; in questa serie di pazienti, nel 58% dei casi, il cateterismo fu abbandonato a 18 mesi. In una seconda serie di pazienti, a 18 mesi il 67% non eseguiva più cateterismi ed i residui per cateterismo erano inferiori a 100 ml nel 63% dei casi (9, 11).
Il lavoro più esaustivo pubblicato in merito agli eventi avversi relativi al test di prova ed all’impianto chirurgico definitivo fu prodotto come studio prospettico randomizzato per ottenere l’approvazione della metodica da parte della Food and Drug Administration (FDA) (12). Per quanto riguarda gli eventi avversi relativi al PNE, nel 59.7% dei casi si trattava di sposizionamento dell’elettrodo. Tale evento ricorreva molto frequentemente nell’esecuzione del PNE con l’utilizzo dell’elettrodo lineare; non utilizzando, durante il test cronico, alcun metodo di fissaggio dell’elettrodo ai tessuti circostanti, era frequente la sua migrazione anche in seguito a trascurabili movimenti incongrui. Con il successivo utilizzo dell’elettrodo “a spirale”, che assicura una qualche adesività ad i tessuti circostanti, la percentuale di sposizionamento dell’elettrodo temporaneo si è notevolmente ridotta. Altri eventi avversi riportati nello studio per l’approvazione della metodica da parte dell’FDA , sempre relativi al PNE, riguardano problemi tecnici nell’esecuzione del test (2.6%), insorgenza di dolore nella sede di esecuzione del test (2.1%) e problemi relativi al funzionamento del dispositivo per elettrostimolazione temporanea (1.1%). Gli eventi avversi relativi all’impianto definitivo del sistema riguardavano dolore in sede di impianto del generatore di impulsi (14.2% dei casi, che richiesero un intervento chirurgico nel 21.1%), migrazione dell’elettrodo definitivo, inefficacia della terapia o problemi intestinali (14.3%, con riposizionamento dell’elettrodo nel 24.2% dei casi). Un’infezione del sistema fu riportata nel 7.0% dei casi. La rimozione del sistema fu eseguita in caso di infezione, dolore persistente relativo alla presenza del dispositivo, rigetto, insorgenza di disturbi nella funzione intestinale. A nostro parere tale rimozione dovrebbe essere prevista ancora ogni qualvolta, a distanza di almeno un anno dall’impianto, i risultati clinici non siano soddisfacenti, nonostante un accurato follow-up clinico e funzionale e numerose modifiche relative ai parametri di elettrostimolazione.
CONCLUSIONI
Il trattamento con Neuromodulazione Sacrale fu indicato, fin dall’introduzione della metodica, nel caso di disturbi a carico del basso apparato urinario (LUTS) che non rispondessero alle convenzionali terapie conservative, prima di prendere in considerazione tecniche demolitive altamente invalidanti. Negli anni, con il progredire delle acquisizioni in merito alla tecnica della NMS, si è osservata una sempre maggiore estensione delle possibili indicazioni che non sempre ha portato ad una crescita dal punto di vista clinico o scientifico. Allo stato attuale delle conoscenze in merito alla NMS possiamo affermare come le indicazioni codificate rimangano limitate all’incontinenza da urgenza sostenuta da una iperattività detrusoriale in fase di riempimento, di origine idiopatica, alla ritenzione urinaria sostenuta da un disturbo di svuotamento di origine non ostruttiva ed all’associazione di dolore pelvico con disturbi minzionali. Sicuramente, nel campo delle indicazioni emergenti, esiste la possibilità di estendere la metodica anche ad altre LUTD che rivestano, in comune con quelle codificate, le caratteristiche di non risposta alle comuni terapie conservative. Un secondo possibile campo di ricerca nell’ambito della NMS riguarda l’identificazione di possibili fattori predittivi di successo della terapia, che potrebbero risparmiare al paziente ed al medico inutili passaggi attraverso trattamenti preliminari. A tale proposito, un’analisi dei costi della terapia nel tempo, tuttora in corso nell’ambito di uno studio prospettico multicentrico Italiano, potrebbe in futuro avvalorare il significato di questo filone di ricerca.