La medicina esercitata entro i confini dell’Impero romano.
Dott. D. Vercelli
Da qui in avanti la storia della medicina, dell'urologia in particolare, esce dalle nebbiose narrazioni sulle origini per richiamare figure di medici meglio definite e per descrivere il lento affinarsi di particolari tecniche chirurgiche, a partire da quel "taglio della pietra", che possiamo ritenere fosse l'operazione di base nell'arte dell'urologia prima dell'avvento della moderna chirurgia.
La medicina esercitata entro i confini dell'impero romano non può esser giudicata creativa né originale, poiché non furono apportate grandiose innovazioni alle conoscenze già acquisite dalle scuole mediche della Magna Grecia e della madre patria elladica. Non è possibile pertanto parlare di una vera e propria "concezione latina della medicina".
Tutta la cultura romana è stata cultura della praticità, quindi anche per l'arte medica gli interessi pragmatici prevalsero su quelli speculativi e teorici.
Aulo Cornelio Celso (25 a.C.-50 d.C.) considerato l’Ippocrate Romano e, per le sue conoscenze enciclopediche, il Cicerone della medicina, derivò il suo lavoro dalle fonti greche, soprattutto ellenistiche.
Nella sua opera De re medica Celso fornisce molte importanti notizie di interesse pratico che deve avere raccolto con estrema perizia se è vero che, ben 1.500 anni dopo, il grande anatomista Fabrizio di Acquapendente auspicava la diffusione del trattato di Celso (che forse non fu neppure medico) tra i cultori della materia del suo tempo.
Leggendo il De re medica vengono deluse le aspettative di chi vi cerca descrizioni e classificazioni nosografiche, spunti di fisiopatologia e cenni di terapia. Vi si trovano invece minuziosamente descritte le tecniche per incidere ascessi e fistole, per eseguire le più avanzate manovre ostetriche (a lui si deve la prima classificazione delle presentazioni fetali e la prima definizione delle modalità di secondamento manuale nonché il rivolgimento con estrazione del feto podalico), per realizzare una tonsillectomia, per applicare i cateteri uretrali.
Si parla anche di suture chirurgiche, di legature vascolari e di trapanazione del cranio. Egli descrive inoltre con grande precisione gli strumenti usati per la litotomia e i cateteri di metallo, simili a quelli trovati a Pompei, fornendone persino le loro differenti misurazioni a seconda che essi dovessero essere usati su un uomo o su una donna. Descrive puntigliosamente anche l'intervento chirurgico per la rimozione dei calcoli dalla vescica. Fu lui ad asserire che la ferita doveva suppurare per guarire, una convinzione che sopravvisse fin oltre il XVII secolo!
Ma Celso è anche quello che dedica due interi libri (VII e VIII), degli otto volumi del suo trattato sulla chirurgia, alla premessa che, se il medico è meglio che sia esperto, il chirurgo invece è meglio che sia giovane, con mano ferma e capace, mai tremante; e che la sinistra deve essere usata altrettanto bene che la destra. II chirurgo deve poi possedere vista acuta, non deve avere indugi, essere sensibile e coraggioso e soprattutto determinato nel guarire il paziente, estendendo il taglio là dove lo ritenga opportuno, senza farsi turbare dalle grida e dal dolore del malato (libro VII, Proemio cap. 4).
Claudio Galeno di Pergamo (129 199 d.C.) è con Ippocrate la figura più eminente e autorevole della medicina antica. Trascorse gran parte della sua vita come medico presso la corte imperiale a Roma e va ricordato per i suoi studi di anatomia e di fisiologia comparata.
Le sue ricerche, condotte sezionando animali (in particolare scimmie), lo portarono alla scoperta, in campo urologico, che la produzione dell'urina avveniva da parte dei reni, ottenendo un'ottima dimostrazione sperimentale attraverso la legatura degli ureteri di cani e di maiali vivi. Galeno intuì inoltre che il breve percorso intramurale obliquo con il quale gli ureteri sboccano nella vescica aveva la funzione "grazie alla previdente saggezza della natura" di evitare il reflusso di urina dalla vescica verso i reni. Queste moderne concezioni anatomo-fisiologiche lo portarono ad accesi diverbi con altri medici, tra i quali Asclepiade di Drusa, per il quale l'urina era il prodotto di elaborazioni intestinali e del passaggio attraverso una particolare porosità della vescica, all'interno della quale si raccoglieva.
Erasistrato di Alessandria, operante nella prima metà del terzo secolo a.C., aveva opinioni dissimili da quelle di Galeno e riteneva che l'urina fosse secreta meccanicamente, nello stesso modo in cui il siero filtra dal latte coagulato durante la preparazione del formaggio, attraverso le maglie del cestino di vimini che lo contiene.
Queste contrastanti concezioni sull'uropoiesi ebbero conseguenze rilevanti, poiché l'errata lettura e la scorretta interpretazione del brano nel quale Galeno discute con i suoi predecessori medici sull'argomento (De naturalibus facultatibus, 1, 15) portò alla formulazione della teoria dell'esistenza di un "filtro renale", teoria errata che resistette per oltre tredici secoli, allorquando Berengario da Carpi (1470-1530) e Andrea Vesalio (1514-1564) la confutarono definitivamente.
Gli altri contributi originali di Galeno in urologia, riguardano l'enuresi, la ritenzione di urina (già menzionata peraltro da Ippocrate), la paralisi vescicale, l'ostruzione uretrale e l'uretrite secondaria alla cistite.